L'attuale PARROCCHIA di S. GIOVANNI BATTISTA e S. NICOLA da TOLENTINO è nella Chiesa dell’Annunziata. Non è nota la storia della fondazione della Chiesa primitiva; certo è che non compare nelle Rationes Decimarum. Una Chiesa dedicata alla SS. Annunziata a Montoro c’era già il 17/III/ 1367(68), quando per mano del notaio Enrico de Lando (de Lauro?. Mongelli: Regesto vol. IV pag. 351 n.3652) fu stilato a Montoro il testamento di Ruggero de Marando, parrocchiano di S. Benedetto in Piano, che lasciò per un beneficio in detta Chiesa di S. Maria Annunziata di Montoro tre tarì (cfr. doc. n.19 pag. 493). Altri due tarì lasciò alla stessa chiesa il 4/VIII/1400 un altro testatore (Mongelli: Reg. vol. I pag. 17 n.3946).
La storia architettonica di questo edificio anteriore al 1471 si può solo in parte congetturare con quanto dalla fine del 1988 agli inizi del 1991 si è scoperto nei sondaggi in tutti i siti della chiesa attuale.
Per i tempi posteriori al 25/IV/1471, cioè dalla presa di possesso da parte dei Padri Agostiniani per donazione autorizzata da papa Paolo II con la Bolla “Sacræ religionis” del 17/XII/1468, c’illumina un po’ sulla storia di tale istituzione quanto si legge nel fascicolo Archiv. Dioc. Salern.: Benefici e Cappelle B 33: processo di precedenza fra le Congreghe pag. 216. In detto fascicolo c’è la duplice copia conforme notarile della bolla di Paolo II; la seconda è inglobata nella relazione della consegna.
Da questi documenti (su cui abbiamo qualche riserva critica sulla veridicità di alcune notizie) veniamo a conoscenza che la Cappella detta dell’ “Annuntiata delli Battenti” era di jus patronatus di una Confrateria di laici, che anteriormente (più di un secolo?) era intitolata ’S. Marco delli battenti’, ossia dei penitenti che si battevano per penitenza con degli scudisci volgarmente detti “li scuriali”, che ancora si conservavano nel 1584, anno della redazione del suddetto documento.
Detta Cappella doveva essere ben piccola, se nel verbale di consegna si autorizzava gli Agostiniani di Solofra ad ampliarla, unitamente alla costruzione del Convento e di un cimitero.
Nel linguaggio popolare ancora oggi la zona è indicata col dire “fora a' Nunziata”, che potrebbe voler significare ‘(lì) fuori all’Annunziata’ ma anche dal latino ‘forum Annuntiatæ’ ossia ‘piazza dell’Annunziata’.
Dagli scavi di sondaggio, preparatori dei lavori di ricostruzione (postsisma delle ore 19,35 del 23/XI/1980, domenica di Cristo Re), effettuati nel IX/1988 per la ditta Casertana del rag. Arturo di Caterino, vincitrice della gara di appalto, si possono supporre dei dati storico-architettonici.
Nella zona sud della chiesa, trasversalmente e parallelamente all’ingresso al lato ovest, alla profondità di m.4,70 si trovano residui di muratura e ossari. Tale muratura, al dire del defunto arch. Carmine Tamburrino, all’epoca direttore dei lavori, poteva datarsi attorno al Mille.
Al lato opposto, ad est, molto probabilmente, a quella profondità doveva esserci un altare di cui erano rimasti solo pochi centimetri di stucco pitturato, che suggerivano l’identificazione degli stucchi di un paliotto d’altare e propriamente la parte centrale a forma di ovale o scudo. Tale ipotesi fu suggerita dalla presenza ad una ventina di centimetri più in alto, di due sporgenze di muratura-stucco, ad esso simmetriche, in cui stavano incastonati due pezzi di legno, subito scompostisi, come se stessero lì a sostegno di una tavola o mensa di altare. Questo sito è in verticale al primo pilastro al lato destro di chi entra, ove prima del terremoto era posta la statua a manichino (o in veste) della Madonna Addolorata.
Se a questa quota va individuato l’ipogeo di un primitivo Oratorio, questo avrebbe avuto il consueto orientamento est/ovest, con l’entrata ad ovest. L’ipotesi diventa ancora più plausibile, se si considera che nel 1966 circa, in occasione del primo intervento di risanamento della parete ovest della chiesa, a qualche metro di profondità, in via Ospedale, si rinvennero degli scalini in discesa verso il muro della chiesa nella stessa direzione. E la controprova può essere l’altro rinvenimento del mese di gennaio 1991: nello stonacare la medesima parete sono venute alla luce due finestrelle a feritoie a cuspide gotica, giustificabili se posizionate in un abside o sulla facciata di una chiesetta di stile gotico. Si è notato, ben relazionato ad esse e alla suddetta scala, un semiarco che potrebbe essere quello dell’entrata dell’ipogeo o soccorpo. Dalla debole testimonianza delle due finestrelle, si potrebbe congetturare una struttura gotica e, probabilmente, affrescata per i due reperti pitturati di cui uno recuperato proprio nella parete esterna ovest.
In questa medesima parete sono venuti alla luce i seguenti altri indizi, da riferirsi alla prima costruzione operata dai Frati Agostiniani dopo il 1471. E cioè: altre sagome di finestroni, due più grandi nel muro della navata, e due nel muro del tompagno del transetto di poco più piccoli. Il secondo finestrone della navata, di cui si è lasciata una traccia in rilievo, è posizionato dietro il pilastrone dell’arco trionfale. Tutto ciò dà ragione a posteriori all’arch. Tamburrino, che nella relazione storico-tecnica, a corredo del progetto della ricostruzione, ipotizzava che la chiesa in origine era a sala cistercense e che posteriormente ci sia stata l’aggiunta dei pilastroni ed archi interni ove alloggiano gli altari.
Va annotato che in detto finestrone si rilevavano due successivi interventi con intento di rimpicciolimento.
La traccia che ha dato modo di scoprire tali manufatti è stato l’intonaco dell’antico vano-finestra, che è svasato a restringersi verso l’interno. Si sperava di trovare le tracce, oltre che dei piedritti, anche del sesto acuto in apice, ma, allo scandaglio dell’intradosso, risultava completamente assente la parte superiore, perciò il tondo ricostruito nel rilievo c’è solo per dare una forma architettonica.
Un altro rilievo lo si è lasciato per evidenziare uno dei finestroni del transetto, poiché l’altro era posizionato, poco simmetricamente, a venti centimetri all’altro estremo del muro del transetto.
Un altro elemento da ricordare è la muratura a circa mezzo metro dall’attuale livello strada, che mostra una diversa stratificazione, e quindi di epoca diversa.
Tutti questi elementi, unitamente a quanto vedemmo venire alla luce nei sondaggi sotterranei, testimoniano ampiamente i vari strati, i vari rifacimenti e i vari interventi e cambiamenti, apportati lungo i secoli nel corpo di questa Chiesa, sia per ampliarla sia per ristrutturarla./p>
Si può congetturare almeno che al principio del 1300, dopo il 1308 non essendo riportata nelle Rationes Decimarum, ivi c’era un piccolo Oratorio, dedicato a S. Marco dei battenti (congrega di penitenza), ma che in seguito - ma già prima del 1367 - fu intitolato all’Annunziata. Esso poteva corrispondere ad un terzo dell’attuale chiesa e propriamente la parte parallela all’attuale porta d’ingresso, orientato con direzione est-ovest, da via Ospedale verso l’attuale scala del campanile, dove ci sarebbe stato l’ingresso, secondo lo schema dell’epoca.
Conservò questa struttura muraria, di cui sono prova inconfutabile le finestrelle di memoria gotica in via Ospedale e tutto quanto sopraddetto, finché gli Agostiniani, a cominciare dal 1471, ampliarono la chiesa. Probabilmente anche questa costruzione, arguendo dallo slancio della struttura muraria complessiva, sarebbe stata di stile gotico come quella contemporanea di S. Giacomo Antepasso al Ruglio
Infine, si può concludere che prima del 1400 sul posto si siano succedute diverse costruzioni di varie epoche a cominciare attorno al Mille, dirute per motivi vari (alluvioni, terremoti o ampliamenti per necessità o vanagloria campanilistica). Il che si evince anche dai materiali di risulta frammisti, senza troppo ritegno, con i resti umani nei due (dei tre) ipogei inferiori, nonché dalla reseca nella muratura della parete ad ovest a circa mezzo metro dall’attuale livello strada.
Il primitivo Oratorio Agostiniano poteva avere le dimensioni del perimetro attuale, eccetto la parte absidale del coro che mostra evidenti segni di diversità, mancandovi anche i due livelli inferiori di ipogei.
La sua struttura originaria, forse per i terribili terremoti delle ore 20 del 5/VI/1688, (quando rovinò anche il palazzo comitale,) e delle ore 17,45 del mercoledì 8/IX/1694 dovette subire un radicale rifacimento tra il 1650 e gli inizi del 1700 (Archiv Dioc Salern. B 28). Quasi certamente allora fu operata anche la variazione dello stile dal gotico al romanico-barocco, per la necessità di rafforzare l’esilità delle mura coi possenti pilastroni ed arconi all’interno e con i contrafforti esterni, e la relativa chiusura dei lunghi finestroni, ora scoperti, dagli stipiti a sguancio e capitozzati in sommità. Era infatti necessario rafforzare la struttura muraria nella nuova funzione di sostenere la divisione delle spinte della nuova volta a botte; e forse così può spiegarsi anche la sporgenza al muro esterno di circa cm. 40 lungo la navata. Forse in questa epoca fu aggiunto a nord il coro absidale dalle possenti mura.
Altri interventi degli Agostiniani ebbero luogo nel 1760, come c’informa l’inventario del parroco Buonomo, e nel 1771.
E qui potrebbe prospettarsi un’ipotesi: forse in un primo tempo la chiesa non doveva avere il tetto come copertura. Questo lo si arguisce all’analisi della straordinaria compattezza dello strato superiore della volta in malta ben battuto e levigato, fornito di ben incanalati scoli per l’acqua piovana, come ancora si usa per i lastrici solari nelle costruzioni cosiddette mediterranee.
Ed ancora: di conseguenza non c’era nemmeno il timpano dell’attuale frontespizio, aggiuntovi assieme al tetto. Infatti, nella stonacatura del timpano all’interno del tetto, al lato sinistro di chi guarda dall’esterno, a circa un metro dalla finestrella tonda di aerazione del tetto, nella muratura si notavano squarci come degli stipiti di una finestra che potrebbe far pensare ad una veletta muraria (campanile a vela) per l’alloggiamento di una campana, di cui erano spesso fornite le chiese sprovviste di un vero campanile, come le chiese degli ordini mendicanti.
Che poi il frontespizio attuale non è l’originale si ebbe la certezza già nell’anno 1978, quando la sua base fu arricchita dal rivestimento lapideo ad opera della ditta dei fratelli Joanna di Fontanarosa. Stonacando allora per circa cm. 10 per creare l’alloggiamento dello spessore delle pietre, apparve un’altra struttura precedente. Questo sospetto è di molti, anche degli esperti della Sovrintendenza dei Beni Ambientali, che sommessamente, non essendoci i fondi necessari, avevano suggerito di dar luogo a dei sondaggi.
C’era anche la Sagrestia, in cui esisteva un altare ove si celebravano SS. Messe; infatti i de Felice istituirono un legato di SS. Messe da celebrarsi su detto altare con istrumento del 7/III/1637 (Archiv Stato AV notar Giov. Sab. Pastore B 4192 pag. 26/35. I PP. del Convento all’epoca erano il vicario Marco della Palude, il lettore Agostino de Napoli sive de Montoro, il vicepriore Angelo di Benevento, Luigi di Montoro, il procuratore Filippo di Montoro e Nicola di Montoro), ove si fa riferimento ad un altro testamento del notaio Andrea Carbone.
Si congettura che era adibito a Sagrestia il vano ancora esistente a forma quadrata il cui soffitto è a cuspide con quattro vele, nota ancora come cappella sepolcrale gentilizia dei de Felice: l’unica difficoltà viene dal rilevante dislivello tra il livello di calpestio della Chiesa e di questo locale.
La prima costruzione della Chiesa da parte degli Agostiniani di Solofra, iniziata non prima del 1471, era già probabilmente terminata nel 5 maggio del 1492, quando Modestino di Lauro costituiva lo jus patronatus sulla cappella dedicata alla Madonna del Carmelo (non va dimenticato che i de Lauro erano di S. Felice ove è in onore tale devozione) di poi (forse alla fine del 1700, cfr. la datazione del quadro), dedicata poi alla S. Croce e a S. Monica o meglio alla Madonna della Consolazione o della Cintola, con l’antistante ipogeo di sepoltura, per istrumento per notaio Vinciguerra Baiano.
La prima descrizione più o meno completa di questa chiesa, assieme a quella del convento, si trova in una relazione (redatta e sottoscritta dal priore Pietro Giacomo Napoli di Montoro, dal vicepriore Nicola Zerollo di Montoro, dal procuratore Lorenzo Volo napolitano, dal sacristano fr. Antonio Muccioli da Rotino, dal ch. professo Adeodato Ascoli napolitano e dai conversi Vincenzo Buonaeyuti di Lauro e Francesco de Domenico napolitano) 25/III/1650 dandocene le dimensioni corrispondenti alle attuali: lunghezza, compreso il coro, di palmi 144, ossia m.38,0952 (essendo il palmo = m. 0,26455), altezza di palmi 70 (m.18,52) e larghezza di palmi 48 (m.12,70) Di questa chiesa si parlava anche al folio 45 della Platea del Convento negli atti del notaio Vincenzo Ferrara del gennaio 1697 (dal fol. 38 e seg., mancano però i primi 53 fol. nell’originale Archiv. Stato AV. B 4253, ma), riportato fortunatamente dal Galiani a pag. 46: ”La vasta chiesa ha una navata, con la porta a mezzogiorno, a dirittura della quale si vede l’altare maggiore con una custodia indorata di palmi dieci, un organo nuovo a sette registri ecc.
In detta chiesa per oltre due secoli (dal 1471 al 1692) i Frati continuarono ad ospitare la congrega della Annunziata dei battenti che all’inizio del 1500 aveva cambiato nome in “Congrega o Confrateria del SS. Sacramento o del Corpo di Cristo o CorpusDomini”. Infatti ciò si deduce dai faldoni redatti nel 1579 e 1584 per la nota vertenza per la precedenza fra i Frati ed i Verginiani di Borgo, e fra la confraternita (Archiv. Dioc. Salern. B 20 e 33) ”del Corpo di Cristo” di Piano e l’omonima di Borgo, cui toccò la precedenza perché giudicata la più antica, nonostante le rimostranze di quella di Piano che contro la sentenza interpose appello presso la Congregazione Romana. La congrega ebbe quindi la sua sede nell’Annunziata fino alla S. Visita del 27/IV/1690, quando i Frati Agostiniani rifiutarono i visitatori (essendo loro esenti come religiosi) per la S. Visita alla detta Congrega (non esente). Perciò l’arciv. Passarelli la trasferì nell’antica Chiesa Parrocchiale di S. Giovanni Battista.
In detta chiesa dell’Annunziata, nella cappella del SS. Sacramento, in cornu Epistolæ (a destra di chi entra) ed intitolata a S. Maria del Carmelo (Arch. Dioc SA, Visite pastorali R 75 pag. 5/6 15/II/1669), il culto Eucaristico era a cura e spesa della Congrega, avendovi la sua sede canonica. E per secoli i Parroci di S. Bovestro (Silvestro) o di S. Pietro a Lizosa (di Piano), di S. Giovanni Batt. a Lardari o de Preturo e di S. Pietro a Lardari o de Preturo, non potendo conservare il SS. Sacramento nelle loro rispettive chiese, in caso di necessità per il S. Viatico andavano a prelevarLo da detta Cappella (cfr. Visite Pastorali, da quella di Fregoso del IX/1511 e seg.), non si sa con quanta benevolenza dei Frati.
La Chiesa dell’Annunziata, e per la sua maestosità e per la presenza dei dotti Padri Agostiniani, diventò ben presto il centro religioso di Montoro. Infatti, già il 1°/I/1520 fu la meta finale della prima e ‘generale Processione (che) gionti nella chiesa Parrocchiale di S. Pantaleone ivi dal R. Clero ... colla turba di tanta gente Populare concorsovi fin al numero di 2000 trà Uomini e Donne ... si partì via, pure processionalmente, verso la Chiesa della SS. Annunziata del Casale di Piano, ove gionti ritrovarono nello stesso luogo la già detta Signora Contessa (D. Isabella Caraffa ... degnissima Contessa di Montoro: sorella del card. Oliviero Carafa, arciv. di Napoli interposto mediatore presso papa Leone X) coll’Eccellentissimo Signor D. Giacomo Zurlo suo Primogenito’ (erede e tutore del conte di Montoro Berardo, inabile al governo per malattia mentale: cfr. Scoppa pag. 133/34).
Ai Quaresimali annuali ed altri S. Riti solenni, in questa Chiesa accorrevano da tutta Montoro, e specialmente in alcune occasioni: Pasqua, CorpusDomini, il giorno di S. Nicola e dell’Annunziata.
Non si sa per quali motivi ed in quale anno della prima metà del 1500 la suddetta processione generale dal primo gennaio fu fissata nella festa del CorpusDomini. Tale processione, inversamente al percorso della prima volta, partiva dall’Annunziata di Piano per concludersi nella Chiesa del CorpusDomini presso il Convento di Borgo, come già appariva nel 1584 quale consuetudine consolidata (Archiv. Dioc. Salern. B 33). Nel 1579 si affermava come diritto del Priore della Annunziata il reggere una delle aste (mazze) del pallio in detta processione (Archiv. Dioc. Salern. B 20 pag. 26 nella controversia sulla precedenza nelle processioni fra gli Agostiniani di Piano e i Verginiani di Borgo, vinta da questi).
Il Campanile, rovinato nel terremoto del 1980, era di costruzione alquanto recente, forse alla fine del secolo scorso, essendo costruito con conci di tufo giallo, troppo ben squadrate per essere antiche ed anche perché è recente in zona l’uso di detto tufo di importazione.
La pianta della chiesa attuale è di croce latina, secondo i canoni antichi del ‘mysterium Crucis’ trasferito in architettura, avendo cura nell’attenersi ai canoni di proporzionarsi sulle misure del corpo umano a braccia distese.
Il 19/IX/1988 iniziarono i lavori per il secondo stralcio per restauro della Chiesa Parrocchiale dopo il terremoto delle ore 19,35 del 23/XI/1980, da parte della impresa del rag. Arturo di Caterino di Caserta, vincitrice della gara di appalto, come dagli atti in Archivio, a spese del Provveditorato alle Opere Pubbliche del Ministero dei Lavori Pubblici (il primo stralcio era stato operato dall’impresa Tommaso Gaeta di Solofra).
Dovendo operare per il consolidamento delle strutture, furono necessari dei sondaggi in fondazione e nel sottosuolo interno ed esterno alla Chiesa.
Conoscendosi l’esistenza degli ipogei sepolcrali dalla testimonianza popolare ed essendosi sfondato per il terremoto la copertura dell’ipogeo antistante la cappella di S. Giovanni di Dio, cioè la prima a destra di chi entra, iniziarono le ricerche con l’andare alla scoperta delle botole nascoste dal sovrapposto pavimento.
I sondaggi iniziarono nello spazio antistante la Cappella di S. Nicola (la seconda a destra di chi entra). Si rinvenne la botola chiusa con listelli di marmo bianco comune di cm.10x3, poggianti su un incastro perimetrale. All’interno c’erano calcinacci frammisti a resti umani consunti. Si notava una traccia di sedimentazione di sottilissima polvere come prodotta dallo scorrere di abbondantissima acqua (al dire del geom. Luigi Parisi dell’impresa al cui occhio ed acume si devono molte di queste notizie; forse è la traccia delle due terribili alluvioni della prima metà del sec. XVIII e l’altra del 1770/71, cfr. Registro Parr. III dei Matrimoni, l’ultima pagina) convogliata verso nord-est dove si scoprì un’altra botola chiusa da una pietra scolpita recante: l’antico stemma di Montoro, cioè i tre monti ma senza croce, con in alto tre stelle o gemme stilizzate, con una cornucopia o fodero di pugnale al centro e con la scritta verticale al lato sinistro ”Pellecchia”: il tutto inscritto in una cornicetta ottagonale oblunga scolpita a rilievo (pur messa da parte per fotografarla ed esporla al pubblico, non fu più rinvenuta: è un grande rammarico! anche perché era la prova migliore di conferma dell’antico stemma di Montoro). Quindi apparteneva alla famiglia Pellecchia ma è strano averla trovata lì, dato che dai documenti si sa che il sepolcreto dei Pellecchia era al primo altare a destra.
Così dall’ipogeo del primo livello si scoprì il secondo livello del tutto ignoto alla tradizione recente.
Il 20/IX si allargò un po’ questo secondo foro che immette nel secondo sepolcro, anch’esso è a volta come il superiore ma è più piccolo ed è sottoposto al superiore non in verticale ma di fianco verso nord-est; anzi in parte si prolunga fin sotto il pilastrone destro del primo arco trionfale. Questo vano era stato chiuso in parte con muratura in perpendicolare al pilastrone (n.b. è una prova della posteriorità dei pilastroni aggiunti nel perimetro murario affermata dall’arch. Tamburrino). Per ispezionare l’estensione del vano, fu necessario abbattere parte di questa muratura, peraltro poco consistente e perciò poco adatta a sostenere il pilastrone. Forse era questo il punto di debolezza strutturale della Chiesa, e di fatti a prima vista tutte le fratture e lesioni convergono verso questo punto. Anche in questo c’erano calcinacci con resti umani consunti.
Il 21/IX si operò l’apertura dell’ipogeo antistante l’altare di S. Monica, cioè quello della famiglia Lauro. Se ne recuperò la pietra di marmo bianco moderna con la scritta ”Familia de Lauro notaio Vinciguerra Baiani 5 maji 1492”. A differenza di tutti gli altri lo si trovò in ordine e pulito: i resti umani erano raccolti in una cassettina di legno, sollevata con cura da terra su due pezzotti di legno ormai marcito. Sopra si notò ben in vista una boccettina di vetro sigillata, in cui s’intravedeva un foglio di carta arrotolato. Si fotografò e poi si rimosse il tutto con ordine; e qui si trascrive il contenuto del foglio trovato:
”Oggi 24 settembre 1956 (mille novecentocinquantasei), io Umberto, di Filippo e Amalia Veneri, di Luigi e Amalia Gmeiner, di Andrea Filippo e Vincenza Genovese, di Gaetano e Angiola Maria Forno Aidana, di Andrea Filippo e Deodata Avossa, di Gaetano e Anna Maria Avossa, di Nicola e Giovanna del Grotto, di Antonio e Giovanna Olimpia Niglio, di Giovan Matteo e Ottavia Viscardo, di Laurito e Margarita Anzalone di Coluccio, ho aperto questo sepolcro che unitamente alla antistante Cappella sotto il titolo di S. Croce e S. Monica fu eretto dal nostro avo Modestino di Lauro con istrumento Notar Vinciguerra Baiano 5 maggio 1492 (millequattrocento novantadue). Ma per il rifacimento del pavimento della Chiesa avvenuto venticinque anni or sono, ho trovato la lapide distrutta, e la tomba profanata, a metà riempita di terriccio, mentre mi consta da documenti che colà si seppellivano i miei avi. Il mio scopo era di trovare una documentazione che la mia Casata di Lauro discende da Roberto di Lauro Conte di Caserta. Iddio mi dia la forza e la vita per ar-rivare a dimostrare tale verità.
Umberto Lauro Grotto (N.d.R. questi è l’autore del fascicoletto: Origine normanna e Sanseverinesca della Casata ‘de Lauro’ poi ‘Lauro Grotto’)”.
Si richiuse il tutto per avvertire i Lauro esistenti e conosciuti come depositari di eventuali diritti: Modestino Lauro funzionario della Polizia di Stato in Benevento (viale Principe di Napoli, 79); Carmelo Lauro maresciallo di Marina in pensione in Como (via Rienzi, 50); Caterina e Vittorio Lauro, ex-maresciallo delle Guardia di Finanza, entrambi resi-denti in S. Felice di Montoro; D’Antonio Anna ved. Lauro e figli in Brescia (via Corsica 181). Solo Modestino si è attivato approntando un’urna di marmo per la sistemazione definitiva dei resti mortali rinvenuti; Luigi e Francesco Lauro Grotto, nobili di Salerno che hanno un analogo sepolcreto nel Duomo di Salerno, sono stati sempre irreperibili al telefono.
Nello stesso giorno, 21/IX, si procedette all’apertura dell’ipogeo davanti all’altare di S. Pasquale Baylon, cioè il primo a sinistra di chi entra: sempre calcinacci e resti umani consunti. Si sondò in profondità per oltre un metro ed anche al secondo livello calcinacci e resti umani ed affiorò un muro ad angolo retto verso il centro della chiesa: resti di un edificio precedente di epoca imprecisata, ma - secondo l’architetto Tamburrino - attorno al mille.
Il 26/IX s’ispezionò meglio l'ipogeo. Per capire meglio la natura e per ispezionare la base del muro ad angolo precedentemente affiorato, si scavò seguendolo verso il centro della chiesa e si sfociò in un altro sepolcro a circa quattro metri di profondità: sempre calcinacci e resti umani. Si è al terzo livello, proprio davanti alle due colonne della cantoria.
Il giorno 23/IX s’ispezionò l’ipogeo antistante l’altare di S. Giovanni Battista cioè il secondo a sinistra di chi entra: sempre calcinacci e resti umani consunti, con un frammento di una coroncina del Rosario a grani bianchi da signorina. Dal pavimento del primo livello degli ipogei, che quasi uniformemente è a circa m.2 dal piano calpestio della Chiesa, si scavò in profondità, ed a più di un metro a centro della chiesa, verso nord-¬est affiorò un muro che suonava vuoto alla percussione. All’ispezione risultò un ossario comune al centro della chiesa. L’arch. Tamburrino avanzò l’ipotesi di costruzione di epoca attorno al Mille.
In ulteriori ispezioni, il 26/IX, forando il muro rinvenuto nella prima ispezione dell’ipogeo antistante l’altare di S. Giovanni, si ebbe la conferma che si trattava di un ossario comune perché conteneva solo resti umani senza calcinacci ed è quasi al centro della chiesa.
Il giorno dopo, 24/IX, si andò alla ricerca della botola di apertura dell’ ipogeo antistante l’altare del Crocifisso, il terzo a sinistra di chi entra, seguendo lo schema delle simmetrie usato per tutti gli altri altari, e non fu trovata, ma si scoprì un ipogeo più verso il centro con la botola decentrata, e non si capì il motivo di tale asimmetria.
Nei giorni successivi si fecero altri scavi mirati per ispezionare la consistenza delle fondamenta dei pilastroni e si incominciò dal primo a destra di chi entra, e propriamente nel vano che accoglieva la statua dell’Addolorata. Si giunse a più di cinque metri di profondità dal pavimento della Chiesa. A m.4,70 di profondità su un muro in verticale si rinvenne una superficie di circa cmq 20 vagamente pitturata con appena delle tracce, come se fosse lo scudo al centro del paliotto sotto la mensa di un altare. Infatti poco più in alto, in una muratura di poco sporgente, c’era un incavo ben squadrato che conteneva un pezzotto di legno che subito si sbriciolò. Si ipotizzò che stesse lì a sostenere un mensa di altare a muro (collegando questo a quanto detto sui rinvenimenti nella parete esterna occidentale) di un probabile soccorpo (della primitiva cappella), la cui entrata poteva essere stata quella indicata dal mezz’arco residuo e dagli scalini interrati in via Ospedale.
Si continuò a scavare nel vano nel muro occidentale, attiguo al pilastrone del primo arco trionfale, a sinistra di chi entra, occupato dal confessionale prima del terremoto, cioè dirimpetto al pulpito. Si giunse fino alla profondità di circa m.5 per giungere ad ispezionare le fondamenta del muro e del pilastrone, si rinvenne un pezzo di colonna di marmo bianco lavorato in modo alquanto artigianalmente del diametro di più di cm. 10 e alto cm. 20: purtroppo perduto perché preso dall’arch. Tamburrino per studiarlo e non ricuperato per la sua inopinata morte.
Restava a sondare ancora ai piedi dell’altro pilastrone all’inizio dell’abside, e si procedette al lato ovest, sotto lo scalino su cui fino al 1962 era posta la balaustra di marmo e non più rimessa in loco perché nel mentre era sopravvenuta la disposizione di posizionare gli altari rivolti verso il popolo
Subito sotto al pavimento si rinvenne un ipogeo a corridoio parallelo all’altare, largo circa un metro e mezzo, che all’ispezione risultò essere il lacrimatoio (o scolatoio) dove i cadaveri venivano posti due distesi e due a sedere. Vi si trovavano resti umani alla rinfusa, senza calcinacci ma con dell’arena di assorbimento. Il tutto è solo al primo livello, il che fa pensare che è la parte più recente e forse la parte ampliata dagli Agostiniani.
Dietro l’altare, profittando della buca dello sfondamento causata dal terremoto nel primo livello , si giunse nello scavo fino a quattro metri di profondità senza trovare alcun altro livello di sepoltura.
Si nota per memoria storica che nella navata si è trovato che fra i pilastroni c’è un muro che fa da trave di collegamento; che gli ipogei del primo livello sono con copertura a volta ben intonacata, alti al centro circa due metri; che detti ipogei non sono tra loro comunicanti.